lunedì 8 luglio 2013

Strana storia di una bicicletta, e di una strada principale, e di un campo deserto

Il Gruppo "Voci di Carta" sta per andare in vacanza per un paio di mesi. Riprenderà la sua attività in autunno ed invita fin d'ora chiunque voglia provare a leggere in pubblico e in gruppo, a voce alta, a venire a conoscerci, partecipando agli incontri.
E' bello chiudere questi mesi trascorsi assieme con uno dei testi letti nella serata "Pedalando in bicicletta" e "autoprodotti". Il ricordo che vi regaliamo, sempre legato all'ecologico mezzo a due ruote, è quello di Luca Bianchin.




"Questa è la storia di una differenza e di un’identità perduta, mai ritrovata.
Ed è la storia di una bicicletta.

Della mia esperienza di infantile ciclista non ho molti ricordi. Pochi, pochissimi. Non ricordo la prima volta in cui sono montato in sella. Non ricordo nessun triciclo. Ricordo anche poche cadute.
Per me, ventitreenne che cerca di scavare nella memoria, la bicicletta è come se fosse un “di fatto” sempre esistito: una necessità, più che un caso. Ma prima che il “di fatto” diventasse reale – negli anni della gavetta, insomma – sicuramente molte cose sono successe. Non le ricordo, ho detto, quasi tutte. Quasi, appunto … perché una la ricordo benissimo.

Era un tardo pomeriggio di Giugno, il sole iniziava il suo tramonto ed io tornavo a casa in bicicletta. Non ero solo, ero con mio padre. Stavo risalendo via Codalunga, la strada che da Mignagola conduce verso Vacil, il mio paese.
Io gestivo una piccola bicicletta dai colori blu, viola, ruote bianche, manubri rosa. Era una bicicletta bellissima, e credo di aver attraversato parecchie cose importanti, nella mia vita, su quella bicicletta. (peccato non ricordarsene).
Ad un tratto perdo il controllo del mezzo colorato che avevo tra le mani; esco dalla strada principale e finisco, solo, in mezzo ad un campo di frumento, da poco tagliato e raccolto. Presi paura e con lo sguardo (forse in lacrime) cercai mio padre.

Era la prima volta che uscivo in quel modo da una strada, la prima volta che venivo (da chi? Non si sa) spostato dal mio baricentro perfetto. Slanciato, decentrato, protratto e infine caduto. Senza le braccia a cui ero abituato che mi attutissero l’urto e la vergogna, che soffocassero la paura, che consolassero i dubbi e sgridassero quel “chi” misterioso che aveva osato tanto. Era la prima volta che acquisivo consapevolmente il concetto di differenza, diverso, Altro.
Sono più rientrato nella strada principale? O non è forse il nostro un eterno vagare in terre sconosciute, su mezzi colorati – e poi dimenticarsene?"

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