lunedì 16 agosto 2021

Ted Chiang e la fantascienza “umana”

Molti lettori, anche forti, non vogliono sentire parlare di fantascienza. Il loro rifiuto è solitamente legato a una visione della fantascienza come genere che tratta vicende non realistiche, inverosimili, ultraterrene e lontane anni luce dalle questioni dell’animo umano.

Ecco, se queste persone provassero a leggere i racconti di Ted Chiang, uno dei più celebrati autori di fantascienza viventi, potrebbero forse rivedere il loro giudizio su questo genere letterario. Le storie di Chiang vengono classificate come “fantascienza”, ma non è facile trovare un autore così “umanista”, così “terreno”, così interessato al risvolto psicologico, all’indagine filosofica sulle grandi questioni poste dall’uomo fin dall’antichità.

Insomma, potremmo pensare che definire Chiang "autore di fantascienza" sia riduttivo, perché la sua riflessione è molto più universale di quanto la fantascienza non sappia essere abitualmente.

Non c’è dubbio che gli spunti dai quali Chiang parte nella stesura di un racconto abbiano un sapore fantascientico: ma Chiang li sviluppa sempre, con meravigliosa maestria, in modo da toccare rilevanti implicazioni intellettuali.

Forse il problema sta nell’errata concezione della fantascienza come genere che deve accontentarsi di parlare di imperi galattici, astronavi e robot sanguinari, senza elevarsi al rango di letteratura universale. In realtà la science fiction può essere molto di più: Chiang lo dimostra, e considerarlo come un vero "autore di fantascienza" non deve suonare come un giudizio riduttivo.

 

A distanza di poche settimane ho letto Storie della tua vita (Stampa Alternativa, 2008; Sperling & Kupfer, 2018) e Respiro (Sperling & Kupfer, 2019), le due raccolte di racconti che, per adesso, esauriscono l'intera produzione di Ted Chiang. Proprio così, perché Chiang, nato vicino a New York nel 1967 da genitori cinesi emigrati negli Stati Uniti, scrive da ormai più di trent’anni, ma in così tanto tempo ha pubblicato “soltanto” 17 racconti.

Sì, racconti, non romanzi. Solo una delle 17 storie di Chiang, “Il ciclo di vita degli oggetti software, pubblicata nel 2011, può essere considerata un “romanzo breve” (è lunga circa 100 pagine), mentre le altre sono racconti a tutti gli effetti, a volte anche molto brevi.

Un autore per nulla prolifico, quindi: ma, forse anche per questo motivo la qualità della sua scrittura è altissima. Lo testimonia la lunga lista di premi che ha vinto: solo per citare i più prestigiosi, quattro premi Hugo, quattro Nebula, quattro Locus e un John Campbell.

Un aneddoto è utile per comprendere il perfezionismo (e l’umiltà) che caratterizza l’arte di Chiang: il racconto “Il piacere di ciò che vedi: un documentario” ricevette nel 2003 una nomination per il premio Hugo, ma l’autore la rifiutò, affermando di non meritarla davvero in quanto aveva scritto la storia di fretta e il risultato non era conforme alle sue aspettative.

 

La lettura di queste storie mi ha coinvolto profondamente. Ve lo giuro, non mi capitava da anni. Ogni racconto, anche se breve, è un piccolo universo, una macchina perfetta che spiazza e affascina il lettore.

Sono molto interessanti le note con le quali spiega la genesi dei suoi racconti: aiutano a capire molto di lui e del suo modo di ragionare e scrivere. Tipicamente Chiang parte da un presupposto, quasi sempre sconcertante, e lo utilizza per una riflessione penetrante all’interno della psiche umana.

Per citare un paio di esempi, in “Capire” immagina che sia possibile espandere l’intelligenza umana mediante la somministrazione di un farmaco, ma il racconto diventa un’indagine strabiliante su cosa sia veramente la nostra intelligenza; “Storia della tua vita”, da cui è stato tratto il film Arrival del 2016, è il resoconto di un contatto tra gli uomini e una civiltà aliena, ma si sviluppa in modo totalmente diverso dalle solite storie con gli extraterrestri, sondando in profondità temi molto diversi come il libero arbitrio, la comunicazione, lo scorrere del tempo, il rapporto genitore-figlio.

 

Spesso Chiang prende due spunti, apparentemente lontanissimi l'uno dall'altro, scopre insospettate relazioni tra di loro e vi basa una storia. In "Settantadue lettere", per esempio, i due semi iniziali sono l’idea del golem e quella della teoria della preformazione. In “La verità dei fatti, la verità dei sentimenti" i concetti di partenza sono una tecnologia futuribile che permette di conservare una registrazione video dell’intera nostra vita, e l’impatto della comunicazione scritta su una civiltà caratterizzata da una cultura orale.

Uno dei racconti più straordinari è “Respiro”, che dà il titolo alla seconda raccolta: uno scienziato, appartenente a una specie di esseri meccanici alimentati da aria, compie un’incredibile esplorazione sul suo stesso cervello, e arriva a comprendere il funzionamento non soltanto del suo corpo ma dell’intero universo al quale appartiene.

 

In molti dei suoi racconti Chiang mette in discussione un altro stereotipo della science fiction: l’idea secondo la quale le storie di questo genere devono essere ambientate nel futuro. Chiang stravolge questa idea ricorrendo a sorprendenti ambientazioni “storiche”: l’antica Mesopotamia in “Torre di Babilonia”, un Medio Oriente da Mille e una notte in “Il mercante e il portale dell’alchimista” e un’Inghilterra alternativa vagamente steampunk in “Settantadue lettere”.

 

Vi sono alcuni temi universali sui quali Chiang insiste spesso. Uno di questi è l’indagine su che cosa renda umano un essere umano: tema che lo avvicina a Philip K. Dick e che caratterizza racconti come “Capire”, “Storia della tua vita”, “Il ciclo di vita degli oggetti software”. Il concetto più ricorrente è però la questione del libero arbitrio, che, a ben vedere, è centrale in quasi tutte le sue storie. In due di queste, il breve “Cosa ci si aspetta da noi” e “L’angoscia è la vertigine della libertà”, questo tema è sviluppato con stupefacente genialità.

Più volte mi sono fermato a metà di un racconto per pensare. Ecco, Chiang è un autore che fa pensare. Molto.

Forse non ricorderete a lungo i suoi personaggi, ma vi resteranno impresse nella mente le idee che Chiang sottopone al suo vaglio.

Insomma, anche se la fantascienza non è il vostro genere preferito, leggete lo stesso Chiang: l’intelligenza e l’umanità delle sue storie potrebbe affascinarvi profondamente. E per sempre.

 

Paolo Alessandrini (Gruppo di lettura condivisa "L'Isola dei lettori")

 

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