venerdì 17 aprile 2020

Luis Sepúlveda: in memoriam

Alle elementari mi obbligarono a leggere Un gato y la gaviota que le enseñó a volar. Non mi colpì particolarmente e di quel libro non mi ricordo quasi nulla.
Una decina di anni dopo un'amica mi regalò un libro che, disse, "è bellissimo devi assolutamente leggerlo è stupendo ecc". Non mi fidavo molto. Chiesi: – Di chi è?
– Sepúlveda.
– Uhmm, sicura che sia bello?
– Sì sì, parla di un vecchio che vive nella giungla, nella foresta, insomma vive là e poi legge romanzi d'amore e poi boh… è così romantico.
Lo lessi e mi accorsi che la mia amica, di quel libro tutto fuorché romantico, non aveva capito nulla. Venni catapultato nel mezzo di uno scontro metafisico, una specie di Moby Dick amazzonico, in cui a sfidarsi erano nuovamente le potenze dell’uomo e quelle della natura, ma entrambe corrotte, figlie questa volta di un male che le consuma entrambe, allontanandole e irrimediabilmente avvicinandole solo a mezzo della morte. Se Achab impugna il rampone, José Bolívar Proaño osserva la preda dal mirino della sua doppietta. Il finale è capovolto e il vortice nel quale sprofonda il marinaio, arpionato al mostro marino che lo costringe a sé, viene sostituito con l’imbarazzo del vuoto aperto dalla gittata dei proiettili. La prossimità che lega Achab al suo capodoglio è direttamente proporzionale alla distanza che allontana José Bolívar dalla sua preda, inerme e grondante di sangue – un sangue a cui sarà sempre estraneo. Sopravvivrà allo scontro, ma il prezzo da pagare è altissimo e lui lo sa. Nessuno, tra gli shuar, lo riconoscerebbe come figlio (adottivo) della foresta. La storia del mito, con le sue potenze divine, incarnate da balene e tigrilli, è compiuta. Inizia quella dell’uomo.
Se l’uomo è solo non viene tuttavia meno la tensione che gli ricorda ciò che ha perso. Questo l’ho capito leggendo gli altri lavori di Sepúlveda, divenuto ormai, per il me sedicenne, una specie di ossessione. Prende così avvio la scoperta progressiva di quella terra straordinaria che è la Patagonia: Mundo del fin del mundo, Nombre de torero, Patagonia express e più tardi Ultimas noticias del Sur. Leggevo di questi protagonisti, europei (berlinesi!), catturati da una forza misteriosa che chiamava dalla parte opposta del pianeta; andavano per i motivi di trama più diversi, ma sempre finivano per confrontarsi con le inospitali desolazioni di una terra stregata, fredda, rocciosa, via via più spettrale. Ovunque silenzio, mare, un vento fortissimo. Più si scendeva verso sud, in prossimità delle acque magellaniche, ai limiti della Tierra del Fuego più l’uomo sembrava riscattare la colpa commessa dal vecchio José Bolívar cercando di penetrare la natura là dove la natura non voleva essere penetrata, opponendo la massima resistenza. Non è un caso che i protagonisti di questi romanzi siano, esplicitamente o meno, “buoni”. E molto silenziosi.
Da quel momento la Patagonia per me è diventata irredimibile; per questo, anche la terra dei sogni, tanto idealizzata quanto segretamente desiderata. Lì, in una pace perfetta, immagino ora il compagno Luis.
(testo di Luca Bianchin)

Nessun commento:

Posta un commento