venerdì 8 gennaio 2021

Le cinque donne : la storia vera delle vittime di Jack lo squartatore


La copertina del libro “Le cinque donne : la storia vera delle vittime di Jack lo Squartatore” di Hallie Rubenhold (Neri Pozza, 2020) è ingannevole: suggerisce che si tratti di un romanzo storico, invece è un competente saggio storico.
A Londra, nel 1887, si celebrarono i 50 gloriosi anni di regno della regina Vittoria; l’anno successivo però fu funestato dagli omicidi di cinque donne, perpetrati da “Jack lo Squartatore”, persona di cui ancora oggi non conosciamo l’identità, sebbene questa figura abbia ispirato moltissimi libri, film, e saggi storici.
Hallie Rubenhold, una storica inglese, non descrive gli omicidi né si sofferma sull’assassino seriale, ma vuole dare voce e dignità a cinque donne che nei secoli sono state tutte bollate come “prostitute”, reiette, donne ai margini della società; nessuno ha mai provato ad indagare le vite di queste donne, che peraltro rappresentano uno spaccato della società dell’epoca.
Le cinque vittime sono accomunate quasi tutte dall’età (quattro di esse avevano tra i 43 e i 47 anni, una aveva solo 25 anni) ma soprattutto da una vita difficile, resa quasi impossibile dagli eventi della vita.
In qualche modo tutte furono costrette  a vivere sulla strada, cercando di racimolare ogni giorno i soldi necessari alla propria sussistenza; alcune di loro si rifugiarono nell’alcool per vari motivi: un’infanzia funestata da lutti familiari, l’assenza di un’istruzione e di un lavoro, la perdita di genitori, fratelli e figli.
Elizabeth, ad esempio, si ritrovò a soli 17 anni in attesa di un bambino e priva di un marito e unicamente per questo fu iscritta nel registro della polizia; la sua reputazione ne uscì distrutta e di conseguenza non riuscì a trovare un lavoro dignitoso.
Kate, pur avendo ricevuto una certa istruzione, perse i genitori da ragazzina, fu mandata da alcuni parenti e poiché rubò alcuni semplici oggetti fu cacciata di casa e si unì ad un venditore ambulante, con il quale la relazione fu tempestosa.
La cosa che emerge con chiarezza dal libro è che queste donne furono vittime per tre volte: perché assassinate, perché i giornali dell’epoca le bollarono tutte come prostitute e non si preoccuparono di ricostruire le loro vite, e perché in qualche modo la società stessa le aveva già sopraffatte.
E’ sconvolgente conoscere le condizioni di vita delle donne di umili origini nella Londra del 1888; l’istruzione era appannaggio dei ricchi o eventualmente dei maschi, mentre una ragazza poteva solo ambire a sposarsi oppure a svolgere un lavoro poco retribuito.
Se una donna veniva abbandonata dal marito o se una ragazza si trovava ad aspettare un figlio senza essere sposata non esistevano tutele di alcun tipo, e quindi spesso queste donne si ritrovavano letteralmente per strada.
Questo non significa che tutte si prostituissero, ma molte di loro cercavano lavori saltuari, ad esempio lavavano i panni o vendevano i fiori, ma si trattava sempre di lavori molto precari che non davano nessuna garanzia di sopravvivenza.
La descrizione dei dormitori pubblici è spaventosa: si trattava di stanze con letti sudici, prive di luce, riscaldamento e di un ricambio d’aria, senza un minimo di igiene,  nelle quali le persone passavano la notte in totale promiscuità.
Naturalmente in questa situazione proliferavano le malattie.
Ogni giorno queste persone cercavano di racimolare i soldi per pagarsi un letto in un dormitorio pubblico, e se non riuscivano a raggiungere la somma necessaria, dovevano adattarsi a dormire in qualche cortile o piazza.
Una vita miserevole, senza alcuna speranza di miglioramento.
Le donne sposate, che in ogni caso dovevano obbedire in tutto ai mariti, generavano tantissimi figli, spezzandosi poi la schiena per sfamarli e a volte morivano di inedia o malattia; se poi per qualche motivo marito il marito moriva o le abbandonava, tutta la famiglia cadeva nell’indigenza più nera: le famiglie si smembravano, i figli venivano allontanati dalle madri e anche questo gettava le donne nella disperazione.
Le donne di umili origini dunque occupavano davvero lo scalino più basso della società e la loro condizione non permetteva alcun tipo di riscatto o miglioramento, per cui era piuttosto scontato che molte di esse affogassero i loro problemi nell’alcool, che tra l’altro era facilmente accessibile perché all’epoca alcuni liquori erano considerati dei farmaci.
Questo libro, tradotto in maniera eccellente da Simona Fefè, è un saggio storico appassionante come un romanzo. 

Elisa


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